I Cedri Himalayani campano 500 anni, ad Apice solo 50

Ad Apice, tanto per essere in linea con le nuove risposte che si cercano faticosamente di dare alla crisi climatica e alla transizione energetica, in modo da assicurare luoghi e viali alberati che diano ombra, benessere, refrigerio e bellezza alla popolazione, l’amministrazione Pepe, avallata dalle solite firme di tecnici che in passato hanno sostenuto progetti di fanta-edilizia come quello sul centro storico, estemporaneo e che non sarebbe mai andato in porto, a prescindere da Mario Draghi, un fallimento proprio ideativo, propone ora, e di commissioni sul paesaggio non abbiamo appreso informazioni, di abbattere dieci cedri himalayani la cui vita media è di circa 400 o addirittura 500 anni, piantati dalla vecchia amministrazione Bocchino circa 50 fa.  Le motivazioni? Sono da ricercare nel documento qui di seguito relazione tecnica del Comune di Apice sui cedri himalyani, contro cui alcuni stanno cercando di fornire un contro parere. A tutto ciò si aggiungono le lamentele delle persone che abitano in prossimità dei cedri, perché le radici sollevano i marciapiedi e non perché le piante siano morte o perché potenzialmente pericolose: motivazioni che davvero suscitano grandi perplessità. Anzi, questa è una specie di albero molto resistente alle malattie, alle tempeste, di legno pregiato e diffuso su buona parte del territorio nazionale.

Di seguito la mappatura dal sito dell’università di Torino https://dryades.units.it/floritaly/index.php?procedure=taxon_page&tipo=all&id=8335

«Le radici del cedro deodara (dell’Himalaya) sono abbastanza profonde e possono raggiungere fino a 3,5 m di profondità. Tendono ad allargarsi lateralmente redendo il cedro deodara più resistente agli uragani rispetto ad altre varietà. Le radici principali sono spesse e hanno una buona presa su terreni sabbiosi, argillosi e rocciosi. La loro struttura consente un’ottima circolazione dell’acqua e degli elementi nutritivi».

E ancora, «Un cedro dell’Himalaya può vivere fino a 400-500 anni […]. Questa splendida conifera può crescere e si è adattata bene al clima delle nostre temperature. Inoltre, i cedri dell’Himalaya sono abbastanza resistenti alle malattie e agli insetti del legno». (fonte: di Carmine Mauro, agronomo e tecnico di redazione delle rivista Coltivazione Biologica, di seguito il link https://www.coltivazionebiologica.it/cedro-himalaya/#Le-caratteristiche-botaniche-del-Cedrus-deodara)

Il sito dell’Orto Botanico dell’Università di Padova, il più antico orto scientifico universitario del mondo ad aver mantenuto la sede originaria, fondato nel 1545, e dal 1997 nella lista Unesco dei siti patrimonio dell’umanità, dedica una sezione al cedro dell’Himalaya, (ecco il link https://www.ortobotanicopd.it/it/cedro-dellhimalaya-cedrus-deodara-ddon-gdon-fil), dove si affrontano le criticità e i rimedi destinati a un esemplare di questa bellissima specie arborea e che potrebbe essere eventualmente simile ad altri casi:

«Questo maestoso albero presenta evidenti segni di traumi subiti in passato, che hanno interessato sia la parte apicale sia alcune grosse branche. In questi ultimi anni, ha sofferto di uno stress idrico in concomitanza con l’abbassamento della falda idrica, verificatosi a seguito di costruzioni realizzate nelle immediate vicinanze. Al fine di garantire la sopravvivenza nel tempo di questo albero di grande valore storico, è stata effettuata una complessa operazione di risanamento radicale e di rivitalizzazione, il cui risultato viene tenuto costantemente sotto controllo mediante tecniche di monitoraggio radicale».

Da altre fonti, invece, il Comune di Apice e i tecnici incaricati avrebbero intercettato un finanziamento sul verde pubblico e quindi ora, valutando come spenderlo, starebbero pensando di abbattere i cedri dell’Himlaya e sostituirli con dei nuovi. Ecco perché il primo cittadino Pepe parla su Facebook di reimpianti, come se alberi di 50 anni fossero semplici travi di cemento da abbattere e rimpiazzare con una colata di pochi minuti, forse è quello il suo solo e unico parametro di rifermento.

bMgazine ha raggiunto telefonicamente il presidente Legambiente Benevento, Antonio Basile, a cui ha inviato la relazione tecnica del Comune di Apice, così da avere un primo parere sulla questione.

«Da una prima ricerca – commenta Basile – si apprende che la vita media di un cedro himalayano è di circa 500 anni, quindi un abbattimento dopo 50 anni mi pare  un po’ prematuro, a meno che, appunto, non si tratti di essenze malate o fitostaticamente precarie, quindi, chiaramente nulla a che vedere col discorso dei pini a Benevento di qualche anno fa, che avevano una vita media di cento anni, e diciamo che c’eravamo.  All’epoca ero in contatto col presidente dell’ordine degli agronomi di Benevento, Walter Nardone, una persona imparziale; bisogna provare a contattare l’ordine anche per Apice, perché alla fine è una questione di interesse pubblico.  Per i pini a Benevento l’ordine degli agronomi si mosse per lo scalpore sollevato sui media. Inoltre, non posso abbattere un albero solo per il problema delle radici che rompono l’asfalto, non è una motivazione sufficiente, se l’albero è morto allora sì, va sostituito con un altro; che si fa allora? Si lascia il viale spoglio andando anche ad inficiare il microclima, perché avrò una serie di superfici che si riscalderanno per il tracciamento, avrò una serie di problemi dovuti al suolo impermeabile e alla raccolta nella fogna delle acque meteoriche, perché quando viene a piovere l’acqua viene dilazionata anche grazie alla presenza degli alberi».

Infine, ci sono alcuni cittadini di Apice – e  questo aspetto fa riflettere – che in questi giorni, sui social, sono convinti che l’abbattimento di quegli alberi sia necessario poiché  “indecorosi” o “pericolosi”, o solo perché magari hanno appoggiato politicamente l’attuale amministrazione e non vogliono porsi il minimo dubbio critico sulla legittimità e la necessità di questo intervento.

In altri paesi europei, pensiamo a Germania e Austria, avrebbero adattato il contesto urbano all’albero monumentale, attuando, perché ci sono, tecniche di rivitalizzazione, se necessarie, come spiegato prima dall’estratto dell’università di Padova.  Spesso, e in maniera strumentale, si è abusati dell’espressione “questa scelta è per il bene delle future generazioni” . Allora, la domanda è: più di salvare degli alberi che possono vivere fino a 500 anni, cosa c’è per assicurare qualcosa alle nuove generazioni? Quante generazioni potranno ammirarli? Forse chi li ha piantati, o forse no, avrà pensato proprio a questo, o almeno, consola il solo pensiero, a differenza di oggi.