“I Racconti del Balcone” e l’estetica della quarantena

Come l’occhio della videocamera, e come quello del vicino, il balcone ritaglia porzioni di mondo per un’umanità in quarantena: «con la dinamite dei decimi di secondo fa saltare questo mondo simile a un carcere». Nasce così, per ripensare la noia della clausura con una narrazione collettiva dell’isolamento quotidiano, il progetto “I Racconti del Balcone – Tales of the balcony” lanciato pochi giorni fa dall’associazione “Kinetta” di Benevento, che gestisce lo Spazio Labus dedicato al cinema e ai linguaggi contemporanei. Ne parliamo con Chiara Rigione, animatrice dell’associazione assieme a Francesca Lago, Carla Iorio, Simona Lonardo, Grazia Galasso e Daniele Bonavita.

Cosa sono “I Racconti del Balcone”?
C.R. Un’idea nata dalla noia e dal torpore di questi giorni di clausura. Con il gruppo di lavoro di “Kinetta” ci siamo confrontati sui possibili modi per rendere ognuno di noi partecipe della quarantena dell’altro. Siamo abituati alla condivisione non virtuale, abbiamo uno spazio fisico adibito alla socialità, in cui amiamo condividere le visioni di film, la musica e scambiarci dal vivo le nostre esperienze ed opinioni. Non siamo fatti per la tv on demand o per guardarci attraverso uno schermo. Ma in questa situazione di emergenza ci siamo dovuti inventare qualcosa. Per prime sono arrivate le “Visioni collettive da casa”, “proiezioni” di film in giorni e orari stabiliti, ma ciascuno a casa propria (si crea così un’attesa comune del film e un dibattito successivo, anche se solo virtuale). Ma questo non bastava. Allora ci è tornato in mente un esperimento di qualche anno fa, quando, precisamente nel luglio 2016, lanciammo una call per invitare a inviarci materiale audiovisivo che raccontasse la propria estate. Creammo così un racconto unico, un lungo viaggio attraverso le vacanze di ciascuno. Stavolta l’esperimento è simile ma più ambizioso: raccogliere pezzi di mondi catturati dal proprio balcone, ma anche tra le mura di casa, in giardino o sul tetto, per creare giorno per giorno un diario collettivo di questo periodo indimenticabile delle nostre vite.

Qual è dunque lo scopo principale: quello di costruire una memoria storica di questo momento alternativa alla narrazione da tg o quello di “isolare” una sorta di estetica della quarantena?
C.R. Molto probabilmente entrambi, ma forse potrò dirlo con certezza tra qualche mese. Senza molta meditazione, siamo partiti con l’idea di sperimentare, di metterci alla prova, di creare e crearci un motivo per svegliarci e sopportare l’angoscia dell’attuale situazione, che è uguale per tutti. La sfida è rivolta a chi filma, fotografa, si racconta, compone un pezzo musicale, ma anche a chi assembla questo materiale per creare il racconto del giorno: siamo noi a farlo, a sceglierne il mood, il ritmo, il taglio. Noi esterni e distanti da chi ci ha inviato il proprio contributo, ma ugualmente reclusi. E questo è l’aspetto più interessante. Magari tra 6 mesi o un anno, quando saremo più lucidi, potremmo ricomporre il materiale per realizzare qualcosa di più compiuto.

La telecamera (o la fotocamera, o il cellulare) taglia con l’accetta dell’inquadratura porzioni di realtà. Un po’ come le finestre e i balconi, in questo momento particolarmente importanti, che ritagliano per noi porzioni di mondo, affacciature limitate e particolari. Ti va di soffermarti su questa possibile affinità, delineando un’estetica videografica del balcone?

C.R. Personalmente ho una passione sconfinata per balconi e finestre già da prima che diventassero così mainstream! Ho sempre amato guardarvi attraverso e guardare dentro quelle dei palazzi che avevo di fronte, alla hitchcockiana maniera. Quanti film si potrebbero realizzare anche solo così! Il parallelo con l’inquadratura è automatico, ma stavolta è come averne una fissa ed obbligata, che se vogliamo rappresenta la nostra condizione di lockdown. Non dimentichiamo però che non tutti hanno una finestra o un balcone con vista, infatti nella call è richiesto di raccontare il quotidiano, in qualunque angolo della casa.

Per dirla con Walter Benjamin, il cinema «porta in luce formazioni strutturali della materia completamente nuove (…) tra i motivi noti ne scopre di completamente ignoti»: «con la dinamite dei decimi di secondo fa saltare questo mondo simile a un carcere». Sembra un altro punto a favore dell’intesa cinema e quarantena, non credi?

Esatto. Perciò proviamo a dimostrare che anche i piccoli istanti di noia quotidiana possono essere pieni di poesia. Ed è lì che si cela il cinema, nel non detto e in ciò che non sappiamo di star vivendo finchè non ci mettiamo in ascolto, in quello che non vediamo o sentiamo pur essendo lì sotto i nostri nasi e pronto ad esplodere.

apl

 

COME PARTECIPARE: Inviare i propri video tramite wetransfer, filemail, myairbridge, all’indirizzo di posta elettronica labuswork@gmail.com. Sotto: il quinto capitolo del progetto