Il “codice” del tamburello

tamburello

Dare una forma “visibile” alla musica è operazione evocativa ma non immediata, soprattutto quando si tratta di strumenti tradizionali, come il tamburello, che non hanno a che fare con gli spartiti. Come al solito, le cose nel regno dell’invisibile sono molte di più che in quello del visibile. E così ci si affida alla metafora, alle immagini, ai simboli.

Ad esempio il disco solare è un simbolo che ben si adatta al tamburo a cornice, soprattutto a quello italico (ma anche ad altri organologicamente simili nell’area araba o sud-americana). I sonagli appaiono come raggi e la membrana come l’energia pulsante dell’astro stesso. Il tamburo sparge i suoni proprio come il sole sparge calore e vita. Questa energia sempre attiva, il “fuoco vivo” nel pieno del sole, può rivestire un principio di razionalità, come la pulsazione regolare sulla membrana del tamburo; mentre i raggi, con il loro essere “portatori” di questa energia, potenzialmente benefica quanto pure nociva (il sole può anche bruciare schiene e raccolti) si collocano più prossimamente all’ambito del caos, come il frenetico frastagliare dei sonagli.

L’uccello disegnato alla base dell’impugnatura si riferisce al tipo di presa che sarebbe ideale avere per suonare il tamburello, cioè morbida e leggera senza arrivare all’eccesso di lasciar scappare la presa. Dunque è come avere un uccellino tra le mani: può essere tenuto a sé ma senza stringerlo né farlo volare via.

Naturalmente nella realtà dell’esecuzione, in base al tipo di suono che si vuole ottenere, la presa sull’impugnatura può raggiungere un picco di stretta e uno di apertura, ma normalmente la mano dovrebbe rimanere sempre rilassata. In effetti i tamburi tenuti troppo saldamente nel pugno della mano e suonati con eccessiva energia muscolare tendono a emettere suoni non solo peggiori ma anche di minor volume.

Mappa dei Suoni

La “Mappa dei suoni” può essere molto utile: come un planisfero descrive le direttrici, i punti d’impatto, quelli di appoggio e di passaggio, distribuiti e “agiti” lungo i due principali assi verticale ed orizzontale del tamburo. La possibilità di esprimere questa ampia varietà di suoni, dai timbri più gravi a quelli più alti, è intimamente connessa al tipo di “martello” della mano che si impiega e dal movimento del tamburo sui suoi assi (a sua volta legato al tipo di motore articolare che viene impiegato per percuotere: rotazione di avambraccio, di polso o mista).

Le onomatopee riportate funzionano come “sonorizzazione” dei simboli relativi a punti precisi sulla mappa. Questi suoni sono un riadattamento del tipico solfeggio della musica carnatica ( stile musicale classico usato nell’India meridionale), detto “konnakol”. E’ possibile fare distinzione tra i timbri più gravi (come il dom, il d, il ku), quelli alti (il ta ed il pa) fino agli acuti (il c ed il tak) e altri ancora.

Schema Energetico

Nell’illustrazione lo schema energetico è descritto all’interno di un tamburo tradizionale per lo stile della pizzica del basso Salento (a cui si riferisce principalmente). Il pattern di base di questa esecuzione è un 6/8 così riportato in konnakol:

[ta ka c d ka c]

> >

Viene riportato lungo un ciclo che assume forma di infinito e che si stende lungo l’asse verticale del tamburo, proprio come lo spostamento principale della mano che percuote la membrana.
Le curve dell’infinito corrispondono all’impiego maggiore o minore dell’energia durante la rotazione della mano. Uso il termine energia per estromettere il concetto dell’impiego della forza muscolare, non propriamente adatta a suonare gli strumenti musicali, comprese le percussioni (l’energia cinetica necessaria a produrre suoni tanto esplosivi quanto tenui – dunque la gestione ottimale della dinamica – è data da quella che potremmo semplicemente inquadrare come la “rincorsa” presa dai martelli della mano grazie alle rotazioni delle articolazioni delle braccia).

Il primo suono è il ta, l’accento “forte” della sestina, ottenuto tramite una rotazione della mano con il pollice battente, chiamata in gergo spinta maggiore. A questo timbro corrisponde una maggiore presa dell’impugnatura, così da contrapporre l’intero corpo del tamburo alla mano che colpisce. Contestualmente al movimento dell’incontro mano/tamburo corrisponde un movimento complessivo verso il basso, come se l’energia prodotta dall’impatto dovesse scaricare verso terra, come fa il fulmine nel nostro immaginario (nel corpo invece, tale impatto dovrebbe essere correttamente assorbito dalla solidità del bacino). Ecco perché a questo accento corrisponde il simbolo elementale della Terra.

Il secondo suono è il ka cioè il ritorno del tamburo sulla mano, un colpo “passivo” che sfrutta il peso dello strumento portato sopra il pollice dalla forza di gravità. Infatti ad esso corrisponde una curva di energia decrescente. Il terzo è il c cioè un suono decisamente limitato ai sonagli, ottenuto tramite l’appoggio/spinta minore delle dita. L’atto di appoggiare le dita e poi spingere il tamburo (per prepararlo alla successiva spinta maggiore) ho lo scopo di non produrre un suono eccessivamente forte all’interno della sestina, in modo da non disturbare i due accenti principali (il ta e il d) sui cui poi si appoggiano i passi della danza.

Il quarto suono è il d, accento “debole” eppure altrettanto fortemente connesso alla struttura coreutica della pizzica. Anch’esso viene prodotto tramite una spinta maggiore ma, a differenza del ta, la presa sull’impugnatura raggiunge un picco di apertura e contemporaneamente il tamburo viene sollevato verso l’alto ed il suo peso sbilanciato in avanti a cadere sul successivo ka. In questo modo il suono grave del d può espandersi ampiamente, relativamente libero dalla presa, esattamente come la vela di una nave gonfiata dal vento. Ecco perché le si fa corrispondere il simbolo elementale dell’Aria. I restanti quinto e sesto suono, il ka ed il c, sono simili a quelli già descritti.

Mario Puorro

Il “codice” del tamburello

di Mario Puorro Tempo di Lettura: 4 min
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