La “digitalizzazione” dell’infanzia e la discriminazione dei bambini campani

Sembra una bastardata linguistica, o giornalistica, l’affinità tra l’espressione “No DaD” (scelta per designare gli oppositori del prolungamento infinito o indefinito della didattica a distanza), e il significato inglese della parola dad, ovvero papà, identica all’acronimo incriminante. A voler malignare, l’espressione sembrerebbe scelta apposta per suffragare l’odiosa percezione che i “No DaD” (i quali, ovviamente, rifiutano questa etichetta banalizzante) siano, in qualche modo, “non padri”, meno genitori, incapaci di gestire i figli tra le mura domestiche e ansiosi di sbarazzarsene portandoli a scuola. A questa demenziale generalizzazione rispondono in maniera puntuale un gruppo di genitori sanniti, con una lettera che vale assolutamente la pena di leggere

«Siamo bambini, ragazze, genitori, insegnanti, cittadine. Siamo tanti e siamo per tante cose. Ma non siamo “Genitori no Dad”. Chi ci etichetta così, non vuole capire o, peggio, ha interesse a mistificare la realtà e ad alimentare la guerra tra genitori, contaminando la convivenza civile, per non far comprendere le nostre ragioni e le proprie responsabilità nella gestione di una pandemia che sta spezzando vite e stravolgendo le nostre esistenze. Noi siamo per la verità, la trasparenza, il buon senso. Siamo per una comunità che affronti questa crisi con spirito solidale, concentrando tutte le sue forze nelle cose davvero importanti: la salute del corpo e della mente di tutti e di ciascuna, come la salute, anche etica, della stessa collettività.
Noi proponiamo un modello di società che metta al primo posto il benessere dei più fragili, non dei più potenti. Una comunità che metta al primo posto la scuola, non le discoteche o le piste da sci. Il Sapere, la Cultura, invece dello shopping.

In Campania e a Benevento, in particolare, le negligenze e le ambivalenze delle amministrazioni regionali e locali, continuano a privare bambine e bambini della scuola, abbandonandoli a quello che è il proprio destino di appartenenza sociale, se non addirittura ai propri drammi familiari, acuiti dalla situazione attuale. E compie questo abominio, senza fornire informazioni chiare e trasparenti, ma al contrario adottando un linguaggio offensivo e lesivo della intelligenza e della dignità di chi ricorda a tutti, proprio a tutti, che l’Italia è ancora uno stato unitario e che se i cittadini sono ancora tutti uguali, le zone rosse, arancioni, gialle o blu debbono, necessariamente, essere tutte uguali. Quindi, la Campania deve smettere di essere meno uguale delle altre: i bambini e le bambine campane non possono essere meno uguali dei bambini calabresi, siciliani, veneti e lombardi (per non dire dei bambini e delle bambine di tutti i paesi europei).

Dinnanzi all’arroganza delle amministrazioni regionale e cittadina, siamo costretti a dovere ricorrere al Governo centrale a ai Ministeri dell’Istruzione, Sanità, Infrastrutture e Trasporti, per il tramite del Prefetto di Benevento, per ricordare i doveri e non le facoltà, di garantire sull’intero territorio nazionale i principi di uguaglianza formale e sostanziale, tanto oggi durante la pandemia, come in tempi ordinari. Invochiamo a gran voce un non più procrastinabile intervento del Governo centrale e della sua promanazione prefettizia, al fine di coordinare, se non gestire direttamente, tutte le attività necessarie a garantire i diritti costituzionali alla salute e all’istruzione, come anche l’imparzialità e il buon andamento della macchina amministrativa.»

Comitato Beneventano dei “Meno Uguali”
Collettivo Mamme Rana
Comitato Genitori per la Scuola Benevento