L’alluvione distrugge il megadepuratore (che per fortuna ancora non esiste)

Stefanucci (LIPU): «Allagata anche l’area della futura opera pubblica. La città abbia coraggio e liberi le aree di esondazione». Corona (Altrabenevento): «Devastate aziende che hanno edificato nei corridoi ecologici fluviali» E se ci fosse stata la centrale Turbogas?

«L’alluvione ha distrutto il megadepuratore fortemente voluto dalle istituzioni locali, che hanno spinto il progetto nonostante i puntuali moniti degli ambientalisti. Non si contano i danni a cose e persone.»

Questo è quello che leggeremo sui giornali di domani se l’alluvione di ieri si dovesse ripetere tra qualche anno. Ed è presumibile che si ripeterà. Se passeranno trenta o cinquant’anni non avremo la magra consolazione di additare i colpevoli. Ma resterà l’amarezza, nella generazione che ha espresso una certa classe politica, di aver lasciato in eredità al futuro, oltre agli errori del nostro passato, la miopia del nostro presente. A meno che il progetto del megadepuratore di Contrada Sant’Angelo a Piesco, proprio ieri sommersa, non venga definitivamente stralciato (puntando magari su fitodepurazione e più sobri depuratori di quartiere) assieme ai suoi incauti fratelli. E’ il fiume che lo chiede e la sua voce, abbiamo scoperto ieri con una smemorata incredulità, può diventare molto alta.

E’ questo il momento dello sconforto e di una confortante e sorprendente solidarietà, all’insegna di “una pala lava l’altra” che ha visto in campo tra i volontari anche i giocatori dell’US Benevento Rugby e tanti studenti Erasmus. Ma è anche il momento di una necessaria riconsiderazione del rapporto della città e della provincia con i suoi fiumi, soprattutto in un Paese in cui il dibattito sull’ambiente sembra destare attenzione soltanto all’indomani di una tragedia. Era evitabile l’allagamento, erano evitabili i drammi piccoli e grandi? Diciamo di no, anche per evitare altre amarezze. Ma un diffuso dissesto idrogeologico, il generale disboscamento, l’impermeabilizzazione del terreno potrebbero aver giocato un ruolo importante. «Senza un piano di gestione delle acque ad ampio raggio, basato sulle tecniche di ingegneria naturalistica – dichiara l’agronomo e ambientalista Luca Zolli – l’invidiabile ricchezza idrica della provincia finisce per manifestarsi solo come problema, magari come “bomba d’acqua”, locuzione che esprime tutta l’alienazione della società nei confronti della natura».

Un’alienazione di cui la Provincia di Benevento ci ha fornito qualche anno fa un esempio memorabile, con interventi di pesanti mezzi cingolati nell’alveo fluviale, il taglio non selettivo della vegetazione e il seppellimento degli alberi tagliati sotto qualche centimetro di terra, pronti ad essere trascinati alla prima piena e a contribuire all’alluvione. Questa follia, che denunciammo grazie a delle inquietanti riprese fornitoci da Antonio Medici, rimane emblematica di un certo approccio al fiume, completamente disancorato da quello che è l’ecosistema fluviale e dalle necessità vitali dei nostri autorevoli concittadini fluidi.

Come quella ditta che effettuò i lavori, possiamo continuare a nascondere la natura sotto il letto del Calore, a chiamare in causa il meteo o i meteorologi ma la verità – che se ne vogliano o meno trarre le opportune conseguenze – è chiara: «L’alluvione ha evidenziato delle aree di esondazione, alcune delle quali già note – rileva Marcello Stefanucci, delegato Lipu di Benevento – La città deve avere coraggio e liberare gradualmente queste aree, prima di tutto evitando di costruirvi ancora. Anche alla luce del cambiamento climatico che potrebbe moltiplicare fenomeni del genere, urge un aggiornamento delle fasce fluviali che ridiscuta anche gli errori del passato, oltre a prevedere quelli presenti. In Contrada Sant’Angelo a Piesco si è allagata anche l’area dove l’amministrazione vorrebbe costruire il contestato mega-depuratore, una delle zone più delicate, vicina a una strozzatura del fiume».

Non sono passati nemmeno due anni dalla battaglia tra l’associazione Altrabenevento e alcune aziende che pretendevano di edificare nei corridoi ecologici di Calore e Tammaro. «Oggi – rileva Gabriele Corona, presidente di Altrabenevento – una delle aziende in questione, dopo aver ottenuto di edificare in zona fluviale, è completamente allagata.» Insomma, la differenza tra una grande tragedia e una tragedia contenuta sta sempre nell’onesta capacità di ridurre i danni futuri quando i tempi sono quieti, come da secoli indica Machiavelli servendosi proprio dell’esempio dell’alluvione. «Le zone verdi in città non sono importanti solo perché sono belle. – spiega Corona – Le zone verdi sono fondamentali, tra le altre cose, perché costituiscono un meccanismo di rallentamento per l’acqua piovana, che prima colpisce le foglie, poi va a terra, dove in parte viene assorbita dalle radici e in parte assorbita dal terreno.» Ovviamente, precisa Luca Zolli, «questo avviene se prima non si è sfruttato dissennatamente il terreno rendendolo quasi inerte».

«In presenza di tetti e cemento l’assorbimento e il rallentamento sono minimi cosicché l’acqua piovana ingrossa il fiume con celerità. In città abbiamo parcheggi e persino strutture industriali nei pressi del fiume», rileva ancora Corona, puntualizzando però che l’entità del fenomeno di ieri è tale da non poter essere spiegata ricorrendo solo a questo aspetto, e da spingere anche Altrabenevento a prendere in considerazione un’ipotesi piuttosto controversa. Si tratta di una teoria diventata ieri una vera vox populi, finita persino sul Tg1. Secondo tale ipotesi si tratterebbe di una piena singolare, in cui il livello del fiume si è alzato troppo in fretta ed è sceso altrettanto repentinamente (si parla di 2 metri in meno in circa 45 minuti), «come se fosse stato aperto e chiuso un rubinetto.» Il rubinetto tirato in ballo ossessivamente nella giornata di ieri sarebbe quello della Diga di Campolattaro, e la voce è stata così pervasiva da spingere l’Asea, la società della Provincia di Benevento che gestisce il grande invaso di Campolattaro, a sconfessare pubblicamente la diceria sostenendo che «l’apertura delle paratoie è rimasta invariata come da quattro mesi a questa parte» e addirittura minacciando querele.

«Fa riflettere il contributo che il Tammaro ha dato all’alluvione, dimostrato dagli allagamenti di Ponte Valentino – dichiara Sandra Sandrucci di Altrabenevento – ma ci risulta che l’invaso di Campolattato sia stato recentemente svuotato per ragioni di collaudo quindi pare improbabile che avesse già raggiunto una portata tale da motivare un’ulteriore apertura delle paratoie. A meno che non vi siano altri motivi per farlo. I danni provocati dalle precipitazioni anche a monte rendono comunque necessaria molta cautela nel formulare ipotesi che prescindano da precipitazioni tanto abbondanti»

Per cui, in attesa di nuovi sviluppi, le domande restano le stesse. Erano evitabili gli allagamenti? Probabilmente no. Ma erano evitabili le strutture industriali nei corridoi ecologici dei fiumi sanniti. Cosa sarebbe successo se fosse stata costruita la centrale turbogas, non ancora accantonata? Erano evitabili i garage al di sotto del livello del fiume a poche decine di metri dal Calore? Probabilmente si.

Alessandro Paolo Lombardo
fotomontaggio di Rossella Di Micco

L’alluvione distrugge il megadepuratore (che per fortuna ancora non esiste)

di Alessandro Paolo Lombardo Tempo di Lettura: 4 min
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