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«Pane, Pace e Libertà». L’8 Marzo che fa tremare gli zar

Può succedere che il tempo cancelli il significato di una ricorrenza. Può succedere che un sistema basato sul consumismo sfrenato la trasformi in una festicciola da mazzetti di fiori, acquistati di tutta fretta al primo angolo di strada. Può succedere che si dissacri il significato di una ricorrenza mutandolo in una falsa celebrazione di un rito capitalistico. Può succedere pure che si riscriva la storia per segnare un punto nella continua conflittualità tra ideologie. 

L’8 marzo 1917. Quello che accade in questa data sancirà, poi, la data come giorno della donna. Siamo nel pieno della “grande guerra”, quella che doveva essere una guerra lampo si protrae ben oltre il previsto. Gli uomini sono al fronte, padri e figli, mentre nella Russia dello Zar sono le donne a guidare, da Pietrogrado (attuale capitale dell’impero russo), una manifestazione per rivendicare la fine della guerra. Le operaie di Torshilovo e del deposito dei tram dell’isola Vassilievsky marciarono in corteo sulla Prospettiva Nesky, chiedendo «pane, pace e libertà». Quella data segnò l’inizio della “Rivoluzione russa di febbraio”. Il 14 giugno 1921 la Seconda Conferenza Internazionale delle Donne Comuniste sancì l’8 marzo quale «Giornata internazionale dell’operaia».

L’origine di questa ricorrenza – assorbita e fatta propria dalle gerarchie democratiche dell’occidente – reclama a gran voce di lottare. In questi giorni abbiamo più che mai bisogno di riappropriarci del reale significato di questa giornata. Abbiamo bisogno di ricordare che è necessario lottare non contro uno stato o contro un movimento bensì contro l’idea che ancora avviluppa l’essere umano. L’idea che la guerra sia uno strumento di risoluzione dei problemi, che essa possa avere un scopo superiore ed una giustificazione attraverso degli ideali. Ma nessun ideale vale quanto la vita di una persona. Che possano essere, ancora una volta, le donne a far tremare gli zar dipanando le ombre della guerra.