“Pippe”, quando la masturbazione era un atto di eroismo

«Uno dei grandi salti generazionali a cavallo del terzo millenio è stato l’ingresso, nella vita degli adolescenti, di tonnellate di pornografia attraverso internet, che ha reso la masturbazione un atto privo di qualunque eroismo»: con questa scheggia letteraria di Giovanni Vergineo rendiamo omaggio a uno dei grandi protagonisti del lockdown: la masturbazione. Archeologo e scrittore (che non scrive di piramidi maya e fantarcheologia), Vergineo è stato finalista alla XXV edizione del Premio Calvino proprio con la raccolta “Pippe”

 

«Oh tu adolescente che navighi su Youporn,
fermati a contemplare l’eroismo di coloro i quali
perirono nel tentativo di recuperare un vecchio VHS
buttato da una finestra per causa sopraggiunti genitori
e mai più recuperato, naufragato nel mare magnum
della pornografia gettata e frettolosamente nascosta
prima che internet rendesse la masturbazione
un atto privo di qualunque eroismo».

Iscrizione posta su una tomba di adolescente al V miglio della via Appia

 

Il porno era la maledizione degli adolescenti e dei puberi nei primi anni ’90. E’ stata la mia maledizione, e in quanto tale mi ha portato più volte sull’orlo della disperazione, del delirio, della morte. Quando il maschietto di undici, dodici anni comincia ad avvertire i bisogni pruriginosi che un giorno, forse, lo renderanno uomo, comincia anche a capire che spupazzarsi il pisello nella vasca da bagno non è abbastanza. Serve altro, serve di più.

E’ allora che si inizia a parlare con gli amici, con i compagni di classe delle medie. La prima domanda che facevo a un ragazzo, quando lo conoscevo, era “come ti chiami”; la seconda: “ma tu te le fai le pippe?”. E, in genere, la risposta era sì. Qualcuno, un po’ vergognosetto, abbassava gli occhi e diceva “no…io non le faccio queste cose” arrossendo più per lo scorno di mentire in modo così palese che per l’argomento in sé, in fondo assolutamente normale nella conversazione dei ragazzini, come poi lo saranno le prime esperienze sessuali (soprattutto quelle inventate).

Era in questo modo che mi facevo nuovi amici, facendo questa domanda e abbozzando un mezzo sorriso… Spesso erano gli altri ragazzini che la facevano a me, e allora anche mi imbarazzavo un pochino; tuttavia non potevo mentire: mi si leggeva in faccia che mi ammazzavo di seghe, così come mi si leggeva che dovevo assolutamente trovare il modo di procurarmi della pornografia. Era un bel problema, che molti dei puberi di oggi ignorano totalmente. Il salto fra la mia generazione e quella successiva è marcato proprio da questo: l’ingresso, nella vita degli adolescenti, di tonnellate di pornografia attraverso internet. Noi, le immagini della vagina dovevamo sudarcele come e più di quanto non avremmo sudato per la vagina stessa, qualche anno dopo.

Avevamo in sostanza due possibilità: scegliere i giornaletti porno o le videocassette porno. E in entrambi i casi non c’era scelta: bisognava andare dal giornalaio. Che, molto spesso, era amico di tua madre, o della zia zitella, o peggio ancora della nonna. Pertanto diventava necessario inventarsi l’impossibile per comprare i suddetti mezzi di autostimolazione erotica senza perdere la faccia, anzi cercando di conservare il più a lungo possibile l’aspetto da chierichetto tanto amato dai nostri genitori e dalle nostre nonne, e che inevitabilmente sarebbe stato travolto dall’avanzata inarrestabile dei nostri ormoni, falangi agguerrite pronte a travolgere tutto e tutti per lei, solo lei, l’ossessione della vita di ogni uomo che si rispetti: Miss V.

Sentivamo che le cose stavano cambiando: sentivamo che per la prima volta stavamo scoprendo qualcosa di davvero importante, qualcosa che avrebbe condizionato le nostre esistenze per tutto il tempo di là da venire, solo che non sapevamo ancora gestire – né forse lo abbiamo imparato, ma
tanto ormai è tardi – questa spinta a procurarci ad ogni costo una continua e sempre migliore soddisfazione erotica.

Toccava anda’ dal giornalaio, non c’erano alternative.

E allora ci riunivamo davanti al tabaccaio nella piazzetta, e facevamo il punto della situazione. Solitamente eravamo in cinque, e mettevamo mille lire a testa per un totale di cinquemila lire, soldi solitamente risparmiati da quelli che la nonna ci dava perché eravamo andati a messa e ci eravamo confessati. Eravamo arrivati al punto che, pur di comprare nuovi giornaletti, andavamo apposta a messa e ci confessavamo anche due volte la settimana (tanto di atti impuri ne commettevamo in abbondanza), dopodiché ci riunivamo e andavamo a fare compere di porno, pronti a insozzare la nostra anima puberale con un copioso spreco di sperma, atto di cui avremmo presto parlato al prete al fine di accumulare nuovo denaro per nuova pornografia. In questo senso, chiesa e porno andavano d’accordo che è una meraviglia.

Dunque, ci riunivamo davanti al tabaccaio e cominciava la conta per scegliere chi, quel giorno, avrebbe dovuto tirar fuori la faccia di bronzo e affrontare la chiattona del giornalaio, la signora corpulenta che avrebbe venduto anche armi ai terroristi libici, se fossero entrati in quel negozio, senza tuttavia rinunciare a mostrare il suo pieno disappunto. Era quello lo scoglio più duro: la sua faccia grassa, piena di grossi nei cicciotti, le dita ingiallite dalle sigarette che fumava senza sosta all’interno dell’edicola perennemente immersa nella nebbia di tabacco.

Di solito eravamo in cinque: io, che sono Mimmo, il Rosso, Gimmi, Nico e Anto, che sono fratelli; entravamo nel tabacchi e compravamo una striscia di caramelle alla liquirizia “Goleador” a testa, poi uno di noi le stringeva tutte in mano mentre gli altri le tiravano contemporaneamente per strapparne un pezzo; una variante del gioco della paglia più corta. La liquirizia gommosa si stiracchiava, diventava più chiara e infine si staccava; chi strappava il pezzo più corto
aveva l’ingrato compito di comprare giornaletti e VHS per tutti. Ma aveva anche il diritto di mangiare tutte le liquirizie: magra consolazione. Quel giorno toccò a me.

(…)

Tirai la caramella gommosa e subito, avendo anni di esperienza, capii che era la più corta. Una volta tiratala fuori afferrai quelle che restavano nella mano lurida del Rosso e me le misi in bocca; erano fottutamente salate e terrose, ma erano pur sempre il mio premio. Feci un rapido sondaggio sulle preferenze dei miei amici. Di solito non compravamo giornali davvero porno; per lo più riviste con donne molto giovani (non tanto più vecchie di noi), nude, che facevano finta di fare sesso con giovanotti imberbi e ben dotati. Non tolleravamo ancora la violenza dell’hardcore, che avrebbe poi fatto da reale modello per le nostre scopate giovanili. Ad ogni modo, entrai tenendo la testa bassa; il sole del pomeriggio entrava dritto nell’edicola e, riflettendosi sul
fumo di sigaretta che ovviamente riempiva ogni anfratto del locale, rendeva l’ambiente baluginante e luminoso, impedendo un’immediata visuale del bancone e della relativa signora perennemente lì seduta.

(…)

Non appena fui entrato, subito dopo aver detto “salve” – io non dicevo mai, mai “buongiorno”, e per questo le vecchie del mio quartiere mi odiavano – mi diressi verso lo scaffale dei fumetti, che era poco lontano da quello del porno. Dopo aver dato un’occhiata fugace a qualche volumetto sfogliandone lentamente le pagine (la qual cosa sapevo faceva incazzare tantissimo la signora, ma tant’era, avevo bisogno di qualche secondo per vincere l’imbarazzo) mi spostai
lentamente verso lo scaffale delle riviste di storia, scienza ecc, anche qui prendendone un paio e mettendomi tristemente a sfogliarle per ingannare il tempo e la vergogna. Sentivo gli occhi della signora bucarmi la schiena, spazientiti dalla mia insistenza nel toccare riviste che non avrei comprato. Lei sapeva benissimo perché ero entrato, e non vedeva l’ora di mettere le mani sui soldi che le avrei dato per quel po’ di carta masturbativa, ma al contempo desiderava farmi sentire il profondo disprezzo che aveva per me e per l’uso che facevo dei suoi giornalacci.

Stanco di fingere, con il cuore che batteva nelle tempie e le dita sudate che si attaccavano alle pagine patinate, mi diressi dritto verso lo scaffale porno,
afferrai una copia di “Prima Volta” e una di “Liceali”. Gran parte della mia futura frustrazione da ginnasiale sarebbe stata colpa di quel tipo di letture: credevo che al liceo fosse davvero così facile fare sesso, e invece quelle bastarde figlie di papà non sembravano minimamente simili alle donnine facili stampate in pose oscene fra i banchi scolastici e sui materassini della palestra che avevano alimentato i miei sogni erotici alle scuole medie. Maledetta tabe letteraria. Scorsi
anche una videocassetta che doveva stare lì da tempo immemorabile, almeno dieci anni a giudicare dalla grafica e dalla vagina superpelosa della ragazza sulla custodia. La presi più per curiosità che per reale interesse; si trattava quasi di un reperto archeologico – pornoarcheologia – e desideravo che
entrasse a far parte della mia collezione.

Due riviste e una VHS: 5.500 lire. Le porsi all’edicolante corpulenta che, dopo avermi rivolto un’occhiata di disprezzo, afferrò i soldi e li mise nella cassa, non dimenticando di dire “saluti a tua madre”, che significava: “sai benissimo che presto, molto presto, ma tu non saprai mai quando, dirò a tua madre che tipo
di riviste compri… forse quando ti farai venire in mente di andare da un altro giornalaio perché ti vergogni di me”. Giurai che un giorno, quando non avrei avuto più bisogno dei sui giornalacci, avrei dato fuoco a quel negozio del cazzo con lei dentro, cristo.

(…) Ci separammo e ognuno tornò a casa sua; prima però strappammo i giornaletti e ce li dividemmo in base ai nostri gusti: a Gimmi piacevano le tette grosse, a me le vagine depilate, a Nico e Anto qualunque cosa fosse nuda, al Rosso le vagine rosse.

Giovanni Vergineo

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“Pippe”, quando la masturbazione era un atto di eroismo

di Redazione Tempo di Lettura: 6 min
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