Le erbe di Natale, custodi del Sole

Con le loro bacche rosso vivo agrifoglio e pungitopo custodiscono il sole nel buio dell’inverno, assicurando il ritorno della luce e del calore alla fine della stagione buia, mentre Gesù nasce come “Sole di Giustizia”. Pianta senza radici sospesa tra terra e cielo, il vischio rappresentava per i Celti la discesa del principio superiore e della divinità nel mondo terreno

Natale è la festa dei simboli. Nella celebrazione della nascita di Gesù confluiscono innumerevoli tradizioni, ognuna delle quali ha lasciato la sua impronta di simboli, usanze e credenze. Il periodo è, come denota la concomitanza con il solstizio invernale, quello della rinascita del sole, il “Dies Natalis Solis Invicti” dei romani, laddove Gesù nasce come “Sole di Giustizia”. Da sempre in questo periodo si svolgevano, nel mondo pagano e contadino, riti volti a celebrare il trionfo della luce sul buio, ossia il passaggio da un periodo in cui le giornate si accorciano inesorabilmente ad uno in cui tornano finalmente ad allungarsi. Sempre nell’antica Roma dal 17 al 24 dicembre si festeggiavano i Saturnali in onore del dio Saturno, durante i quali i Romani usavano scambiarsi doni e portare con sé rametti di agrifoglio. Anche nella festa germanica precristiana di Yule (adottata anche da altri paesi nordeuropei e celebrata in Islanda per tutto il Medioevo) si adoperavano il vischio e l’agrifoglio e si aveva l’usanza di decorare alberi.

In generale si riteneva che l’agrifoglio potesse tener lontani i malefici e propiziare la fecondità degli animali. Arbusto sempreverde dalle foglie coriacee e spinose, evoca immagini di sopravvivenza e prosperità, vita perenne, ed è considerato magico e benaugurale. Le sue bacche dal colore rosso vivo che maturano in autunno e durano diversi mesi sembrano rappresentare e custodire il Sole durante la profonda oscurità invernale e pertanto fungono da talismano, assicurando il ritorno della luce e del calore alla fine della stagione buia. Simile all’agrifoglio e spesso con esso confuso, il pungitopo (così chiamato per il suo ruolo nella protezione delle derrate alimentari dai roditori) è una pianta di ben più modesta statura e dalla crescita molto lenta, provvista di false foglie coriacee e spinose (dette cladodi), al centro delle quali compaiono i fiori che sono seguiti da bacche sferiche di color rosso vivo che, analogamente a quanto avviene per l’agrifoglio, maturano in autunno e persistono sulla pianta fino ad inverno inoltrato, evocando lo stesso simbolismo dell’agrifoglio (v. Cattabiani).

Dal punto di vista simbolico entrambe le piante sono considerate “saturnine”. L’agrifoglio è oggi caduto in disuso, probabilmente a causa della fama quasi del tutto immeritata di pianta velenosa. Le foglie, pressoché prive di significativa tossicità (a differenza delle bacche), raccolte prima della fioritura e fatte essiccare all’ombra, hanno proprietà diuretiche, diaforetiche, febbrifughe, antireumatiche e antimalariche (pare risultasse addirittura efficace laddove falliva la china). Nella Foresta Nera sono state usate come sostituto del tè e il mate (o yerba mate o tè del Paraguay) è prodotto con le foglie di un’altra specie di agrifoglio, l’“Ilex paraguariensis”. Il pungitopo, invece, è ben conosciuto per il suo effetto diuretico, per la sua capacità di sciogliere i calcoli e, soprattutto, per la sua attività di tonificazione della parete venosa. I suoi semi tostati sono stati usati come succedaneo del caffè.

Anche il vischio è ritenuto un amuleto contro le disgrazie e gli influssi negativi. Tradizionalmente dev’essere raccolto in modo che non tocchi terra e, secondo la tradizione celtica, reciso con un falcetto d’oro. Qualora non disponiate di un falcetto d’oro, che in casa non manca quasi mai, si può adoperare arco e freccia o al limite un bastone per evitare che il contatto con la terra ne disperda le proprietà “magiche” e di protezione (apprezzate dagli innamorati che usano baciarsi sotto il vischio). E’ una pianta parassita che cresce sul ramo di un’altra pianta dopo che gli uccelli ne hanno espulso i semi appiccicosi, dopo averne mangiato le bacche. Pianta priva di radici, a metà strada tra la terra e il cielo, era per i Celti simbolo della discesa della divinità e quindi di immortalità e rigenerazione (visione poetica che segnala l’abisso tra la visione del mondo tradizionale e quella moderna). E’ una pianta “solare”, della stessa natura dell’oro con cui i Druidi la raccoglievano. Nel tempo è stata usata per trattare l’epilessia e per espellere tutti gli “umori” perversi, ma è richiesta una certa cautela nel suo uso in quanto anche questa pianta ha una certa tossicità. Verdissima immagine della Luce Divina che brilla nel Cuore dell’Uomo, il vischio è capace di agire proprio su cuore e arterie, regolando la pressione sanguigna.

Chi ha a cuore la natura tenga a mente, infine, che il pungitopo è una pianta rara e protetta, con una crescita lentissima, e sarebbe bene evitare di raccoglierlo anche in quelle regioni nelle quali non vige uno specifico divieto. Chi dovesse trovarsene un rametto in casa può, quantomeno, disperdere le bacche rosse in boschi o boschetti alla fine del Natale, per dare al pungitopo una possibilità in più di proliferare.

Pierluigi Campidoglio

Le erbe di Natale, custodi del Sole

di Redazione Tempo di Lettura: 3 min
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