libroterapia

Libroterapia e cura di sé contro la digitalizzazione dell’io

La libroterapia o anche biblioterapia è una forma di terapia che parte dalla lettura per perseguire il benessere psicologico. Ne parliamo con Sara Luciano, psicoterapeuta che ha lanciato l’iniziativa alla libreria indipendente Masone di Benevento, in programma fino a gennaio con appuntamenti bisettimanali

Il primo ad attribuire alla lettura capacità “curative” fu forse Aristotele. Ma, da allora ai nostri giorni, le correlazioni positive tra lettura e medicina si sono accumulate fino a entrare ufficialmente nella pratica psichiatrica. Il primo a inserire la libroterapia e i suoi benefici all’interno di un trattato di psichiatria è stato W.C. Menninger nel 1937: dopo aver prescritto la lettura di alcuni romanzi nell’ambito del trattamento di una serie di disturbi psichici ad alcuni suoi pazienti, l’esperto ha potuto constatare una serie di benefici, che ha descritto a conferma della sua tesi. Ne parliamo con la psicoterapeuta sannita Sara Luciano, responsabile dell’iniziativa sul tema alla Libreria Masone Alisei di Benevento.

Che cosa intendi per libroterapia? Credi che la lettura sia intrinsecamente terapeutica o necessiti di una particolare intenzionalità e di pratiche aggiuntive per diventarlo?

La caratteristica della libroterapia è proprio quella di essere un metodo di identificazione, di auto-riflessività e di facilitazione di processi simbolici e sono proprio questi, il mondo del simbolico, che necessitano di una guida di uno psicoterapeuta. Il questo caso, il processo della relazione terapeutica viene ad essere in primo luogo “spostato all’esterno” sulle dinamiche che si evincono dal libro per poter poi essere “spostato all’interno” sulle dinamiche relazionali dei partecipanti in un ciclo di autoriflessione che assume un taglio più analitico. Credo che ogni lettera può essere intrinsecamente terapeutica in quanto stimola la riflessione e l’apertura a uno spazio di pensiero.

Nella libroterapia succede altro, il libro è lo strumento che, grazie a tale valore, ci permette poi di andare oltre fino alle decifrazione dei vissuti interni della singola persona. La parola scritta e letta diviene il ponte per creare l’accesso al proprio emotivo che plasma le nostre dinamiche relazionali esterne, in modo inconsapevole e di cui spesso non abbiamo la personale chiave di lettura. Si risponde consapevolmente alla storia del personaggio ma poco alla nostra.

Può esistere una libroterapia “senza libro”? Ovvero: quanto è importante l’oggetto fisico libro in questo percorso? Sarebbe lo stesso con uno smartphone e un pdf?

Il percorso di libroterapia inizia dal momento in cui si acquista il libro fino agli incontri dei corpi. Da qui, poi il libro diventa “un altro luogo”, funge da oggetto transazionale in un’area intermedia di esperienza in cui trovano spazio sia la realtà interna sia quella esterna. L’oggetto transazionale è ciò che un tempo il bambino ha scelto come oggetti speciali (orsacchiotti, copertine ecc.)  per gestire le proprie frustrazioni interne, ed ha di solito il potere simbolico di calmante nei primi momenti di separazione dalla figura della madre o nel dormire. È quell’oggetto che aiuta nella transazione emotiva tra mondo interno ed esterno. Il punto essenziale dell’oggetto transizionale non é solo il suo valore simbolico ma quanto il fatto che esso è reale: è un’illusione ma é anche qualcosa di reale. Ed è per questo motivo che il libro che diviene il nostro strumento per andare oltre, dev’essere presente e reale, toccato e maneggiato. Si condivide la lettura ma ognuno ha il suo, intriso dei propri odori.

La lettura condivisa, scrivi, è il preludio di una riscrittura della propria storia. D’altronde il libro, consente, rispetto ad altre forme di trasmissione culturale, una particolare partecipazione del lettore, chiamato a integrare la scrittura con immagini mentali legate a trame cognitive personalissime. Il lettore è dunque sempre coautore? Ci parleresti di questa coautorialità? In che modo questa funzione viene sfruttata nella biblioterapia?

La libroterapia di gruppo avviene in un tempo e in uno spazio strutturato con un numero massimo di partecipanti, divenendo un atto esplorativo di un territorio “fisicamente reale” nel qui e ora, che creano accesso a un incontro più profondo: immagini e storie che risuonano e possono essere rispecchiate negli altri. Le metafore e i racconti, così come i sogni, danno la possibilità di affrontare “indirettamente un tema” che altrimenti potrebbe essere sentito come troppo minaccioso. Si diventa coautore essendoci un primo contatto con “ciò che sono, ciò che sento”, e questo permette una graduale condivisione di significati impliciti, che poi trovano un senso. Nella libro-terapia di gruppo si crea un linguaggio comune co-costruito con un attribuzione di senso personale.

Da psicologa, cosa credi stia cambiando nel rapporto con il sapere e le parole nel processo di digitalizzazione del mondo?

Credo che sia sempre più difficile stabilire un confine netto tra le due modalità di utilizzo. È tutto più semplice, il significato di una parola può essere appreso cercando su internet. Non sono una critica dei nuovi mezzi di comunicazione che ormai fanno parte di noi e distaccarci totalmente ci porta a stare fuori da una realtà. Temo l’assetto mentale che determinate abitudini possono inconsapevolmente andare a creare, in una sorta di generalizzazione. Se il senso della parola viene rimandato sempre all’esterno, qualcuno che ci spiega non l’oggettivo ma anche il soggettivo, come il malore che sto provando in questo preciso momento, o i video su come potrà essere un’esperienza, andando solleticare i nostri istinti voyeristici , non c’è più spazio per un secondo tempo.  Quello che porta a tenere aperta dentro di sè qualche domanda, quello dell’attesa nel cercare una risposta internamente, quello del vivere l’ignoto di un’esperienza. Questo temo il sapere soggettivo che affidiamo all’Altro detentore della nostra verità senza trovare quella parola dentro di noi. Solo quando riusciamo a pensare, a vivere e dire qualcosa, è come se ce ne riappropriassimo più in profondità.