Breve storia dell’imbecillità umana – Capitolo primo

LE ORIGINI MITICHE
Come siamo passati dal giardino dell’Eden a un mondo in cui passiamo più tempo a caricare la lavastoviglie che a raccogliere frutti? In cui passiamo più tempo a caricare la lavastoviglie, a pagare bollette, a fare lavori inutili per comprare cose inutili che a chiavare? E perché ho di nuovo il mal di schiena?

Al processo di Norimberga della stupidità il primo imputato è Caino (Eva assolta perché il fatto non sussiste) . Primo uomo nato nella storia umana, primo agricoltore. Primo assassino. Il malcapitato è Abele, pastore, felice nomade ignaro dell’invidia mortale dell’agricoltore. Anziché passeggiare per i pascoli della Terra incontaminata, Caino passava il suo tempo a pecora nell’orto, che vuole l’uomo morto, e a caricare la lavastoviglie. Stava nervosetto, e questo è comprensibile.

L’assassinio di Abele condensa il progressivo trionfo dell’umanità sedentaria sull’umanità nomade. Un percorso che il mito sintetizza in poche righe di Bibbia, ma che abbraccia tutto l’arco della storia della stupidità, dalla sassata omicida all’ossessione di Hitler (ultimo Caino, gran persecutore di nomadi), dall’ernia da ufficio alla cervicale da smartphone. Frontiera ultima di una sedentarietà che illude, e ammanta la paralisi di un pizzico di cosmopolitismo. Schiacciato sul divano dal peso di tutto il mondo che gli precipita addosso miniaturizzato in pixel, l’uomo contemporaneo è sollecitato a spingersi costantemente fuori di sé, in un altrove virtuale, nella quotidianità altrui invasa dalle notifiche, fuori dal qui e ora, fuori dal presente, quindi nel mai, fuori dai territori scientemente svuotati di futuro, dentro il non luogo del riscatto economico a portata di vlogger, il non luogo delle possibilità, della virtualità, quindi in nessun luogo.

E mentre vaga in nessun luogo leggero come l’Aquario, segno d’aria e non di acqua, l’uomo contemporaneo perde pezzi e spara ernie a palla, ed è quantomai rigido e solidificato. Assomiglia al suo internet, illusione di tecnologia immateriale fondata su infernali miniere di coltan di schiavibambini e miliardi di tonnellate di cavi sprofondati nell’oceano (schiavibambini per far guardare babyvlogger lobotomizzanti ad altri bambini). Una Nuova Era, l’età che ha trasformato l’avatar hindu in una proiezione virtuale, in un cazzeggio da second life e in un film orribile che viene voglia di spedire James Cameron sul Titanic poco prima dell’affondamento.

Quest’uomo supercivilizzato, così supercivilizzato che secondo i fisioterapisti sta perdendo la posizione eretta, messo a pecora dal capitale e dai feudatari dell’impero digitale, ha un giusto senso di orrore al pensiero dei suoi avi svampiti. Di quegli uomini primitivi che passavano il tempo a raccogliere erbe e frutti, come trogloditi. Purtroppo non tutti gli uomini supercivilizzati hanno letto Fukuoka – gli avrebbe insegnato che il mondo non ci guadagna un cazzo dalla loro vita di sacrifici, e che avrebbero vissuto meglio a pascolare tra i boschi come nelle società del benessere originario. Perché intanto medici e sociologi hanno iniziato a chiamarle così, quelle masse di trogloditi primitivi: società del benessere originario.

Società (ce n’è ancora qualcuna al mondo) in cui la gente passa il tempo a camminare nei boschi raccogliendo in un’ora il cibo di una settimana (niente packaging, grafico e pubblicità da pagare), a cucinare e a chiacchierare, a scopare di villaggio in villaggio. Niente lavastoviglie, niente bollette. Musica autoprodotta, buona letteratura orale, fanculo la minuscola carolingia. Niente ospedali per curarsi dall’intossicazione della vita moderna. Pure longevi, gli stronzi. Meglio non parlarne, perché questo è l’inizio della storia quasi universale della stupidità, e non c’è posto per quei popoli che sanno stare al mondo. Parleremo di noi, che non stiamo capendo un cazzo.

Alessandro Paolo Lombardo
immagine Rossella Di Micco