Dell’antico borgo di “Preta Maiure”, nel Fortore, si conserva a stento il nome: i paesani lo chiamano “La Morgia”, perché del sito non resta che una curiosa roccia squadrata ricoperta di vegetazione e qualche scalino di pietra, oltre alle memorie degli abitanti dei paraggi… Una storia che merita di essere riscoperta
Regista, sceneggiatore e produttore cinematografico, Marcello Albani non doveva tenerci troppo alle sue origini sannite. D’altronde era nato a New York (nel 1905) con il nome più nostrano di Giorgio Marchetti, prima di dotarsi dello pseudonimo dal chiaro sapore romano. Ma quando, nel 1956, c’era da girare il film “Sangue di zingara”, affidato alla regia della moglie Maria Basaglia, gli venne subito in mente quel paesino adombrato nel suo cognome fortorino dismesso: San Giorgio La Molara. La pellicola fu infatti girata quasi interamente tra San Giorgio e Buonalbergo e nel film figurava anche una celebrità sangiorgese: Nazzareno Ciccarello, fortorino con nanismo che lavorava con Moira Orfei. Trattando una storia di amori e intrighi intorno ai ruderi di un antico castello, la location “prediletta” fu la cosiddetta “Morgia”, la grande roccia che ospitava il castello scomparso di Pietra Maggiore, a pochi chilometri dal sito di Monte La Guardia, oggi interessato da rinvenimenti archeologici e lavori in corso per impianti eolici (leggi l’articolo).
“Sangue di zingara” ebbe scarso successo e dopo l’uscita del film la stessa regista abbandonò il mondo del cinema definitivamente. Definitivi furono anche i danni arrecati dalle riprese: il film termina infatti con la caduta della zingara da una rocca in rovine, ovvero dal rilievo su cui sorgeva l’antico Castello di Preta Maiure. Per la realizzazione di questo “effetto speciale” (il bambolotto della zingara inghiottito in una fessura della roccia) la produzione fece saltare il sopravvissuto ponte di pietra del castello, suscitando lo sconcerto dei pochi abitanti della contrada. Andava perduto, così, uno degli ultimi pezzi di Pietra Maggiore. «Ci mostrarono dei falsi permessi per abbattere e ricostruire il ponte – racconta un anziano contadino del posto – ma non rimisero in piedi quanto distrutto, provocando anche grane legali ai nostri genitori».
Oggi, come racconta il video “In viaggio per Terrenet“, non rimane che «una curiosa roccia squadrata tappezzata di vegetazione, e il frastornato stupore di fronte a tre scalini di pietra sopravvissuti (con i fori del cancello), unico labile varco tra l’immaginazione e la memoria: altra sorte avrebbe avuto, sull’opposta sponda del Tammaro, Pietra Piccina (Preta Pucina), abitato oggi assai cresciuto e noto come il paese di un santo, Pietrelcina». Di Pietra Maggiore sopravvive a stento il nome: gli abitanti del posto lo chiamano più spesso la “Morgia” o il “Castello di Federico Barbarossa”, in ossequio all’improbabile leggenda locale secondo cui l’imperatore avrebbe portato qui le sue amanti (plausibile invece un passaggio del nipote Federico II che, amante della caccia, potrebbe essersi avvicinato a Pietra Maggiore in viaggio per il vicino bosco di Mazzocca, ricchissimo di selvaggina).
Studiosi di storia locale raccontano che il Castello di Pietra Maggiore fu conquistato nel 1137 da Ruggero II il Normanno nella lotta contro suo cognato Rainulfo: una storia ormai adombrata solo dalla toponomastica, raccontata da poche pietre e dal fruscio dell’acqua in quelle che gli abitanti del posto chiamano ancora “La Fonte del Re” e “La Fonte della Regina”. Nel 1440 il castello poteva ancora «alloggiare un gran numero di armati» (Orlando Vella) ma nel 1456 i terremoti del 5 e del 30 dicembre ne segnarono per sempre la sorte consegnandola a una lenta sparizione, fino alla demenziale esplosione cinematografica dell’ultimo ponte tra le rocce.
Alessandro Paolo Lombardo