Rifiuti nei fiumi beneventani, associazioni sul piede di guerra

rifiuti nei fiumi

Rifiuti nei fiumi a Benevento: inquinamento e degrado sul Lungofiume Sabato. Le associazioni stigmatizzano il rimando di responsabilità tra Comune e Provincia: «La tutela viene prima della burocrazia». Si attende il tavolo istituzionale con la società civile

La teoria delle “finestre rotte” è una teoria criminologica che si adatta benissimo alla realtà beneventana e al degrado ambientale in cui versano territori e fiumi dell’entroterra campano. La teoria afferma che manutenere ambienti urbani e naturali intervenendo su piccoli reati, atti vandalici e generale deturpazione dei luoghi contribuisce a ridurre il degrado pubblico e il rischio di crimini più gravi. Come una finestra rotta può generare fenomeni di emulazione, portando qualcun altro a rompere un lampione, lo stesso succede nello sversare selvaggiamente rifiuti negli alvei dei fiumi (v. anche la questione depuratori), generando una spirale di degrado urbano e sociale. È lo scenario a cui siamo abituati ad assistere da decenni, che ci ha rassegnati a escludere i fiumi dalla nostra vita e a non percepire più i colori e gli odori della vegetazione spontanea, oltre alle meraviglie della fauna acquatica, tipica dei nostri Sabato e Calore.

Marcello Stefanucci, delegato Lipu della Sezione di Benevento, sostiene che i fiumi dovrebbero essere una risorsa, un orgoglio per Benevento e non rappresentare un motivo di vergogna perché pieni di rifiuti. Sono oramai due decenni che la Lipu a Benevento si occupa della tutela dei corsi d’acqua che attraversano la Città. Nonostante un discreto, in alcuni casi ottimo, grado di naturalità (grazie alla rigogliosa vegetazione ripariale e ai boschi igrofili planiziali formatisi in alcune anse del Calore, popolati da molte specie di uccelli acquatici), non si può nascondere il degrado in cui versano alcuni tratti cittadini dei corsi d’acqua.

Il problema è pluridecennale se non si riescono a ripulire i nostri fiumi dai rifiuti e purtroppo, nonostante il degrado, ci troviamo ad assistere a un rimando di responsabilità, con alterne motivazioni addotte da Comune e Provincia. Ad esempio, gli operatori ecologici dell’Asia, l’azienda partecipata del Comune che raccoglie i rifiuti, non sarebbero tenuti a scendere nell’alveo di piena dei fiumi per intervenire, visto che questi sono di competenza della Provincia, e gli operai stagionali idraulico-forestali che lavorano per la Provincia possono intervenire sulla vegetazione, ma non sono tenuti a raccogliere i rifiuti poiché c’è bisogno di una formazione e una competenza specifica. Occorre quindi superare questa impasse, e ciò potrebbe avvenire solo se gli amministratori del settore ambiente riuscissero a convocare un tavolo istituzionale, al quale vengano invitati anche gli esperti delle associazioni, e decidere di prendere seri provvedimenti.

Di fronte a questo immobilismo burocratico la società civile comincia a dare segni di maggiore consapevolezza. Parte così un pressing sulle istituzioni da parte di liberi cittadini, associazioni e gruppi organizzati di volontari, come la rete di “Adotta un fiume” (Rotary, Lipu, Wwf, Plastic Free, ecc.), “Tribù del Cambiamento”, “Mamme rana”, “Introterra”, “Io x Benevento” (realtà, quest’ultima, che richiesto al Comune d’implementare meccanismi di videosorveglianza negli specifici tratti maggiormente soggetti a degrado, come la parte di via Giuseppe d’Alessandro adiacente allo Stadio “Vigorito”, zona completamente sommersa dai rifiuti). Si chiede una chiara presa in carico della questione determinando bene ruoli e competenze senza escludere la cooperazione tra gli Enti.

E’ urgente unire le forze con il mondo della scuola e le famiglie per sviluppare, fin dalla prima infanzia, interesse e responsabilità nei confronti del mondo che ci circonda. È fondamentale far comprendere precocemente gli effetti che i nostri stili di vita producono sull’ambiente in modo da intervenire positivamente sulla formazione e interiorizzazione di “buone pratiche”. Comportamenti che non possono essere meramente “applicati” attraverso distopiche politiche di sorveglianza e repressione (v. il “modello cinese” di vita a punti) ma che vanno “interiorizzate” in una globale riconsiderazione dell’idea di bene comune. Al contrario, stando al sociologo statunitense Robert Merton, la società sembrerebbe scientemente organizzata in modo da disattendere aspettative e aspirazioni, spingendo l’individuo a trovare soluzioni “facili“ e scorciatoie non lecite per raggiungere i propri obiettivi: è così che i confini della devianza assumono una dimensione diffusa in tutto l’operato dell’attore sociale. È come se il concetto stesso di civiltà, di rispetto, di cura per se stessi, per gli altri e per il mondo che ci ospita via via perdesse sempre più peso e senso.

Valentina Ricciardi