«Prelievi illegali di inerti nel Miscano», la denuncia di un cittadino

prelievi illegali di inerti

Preservare i fiumi sta diventando una delle sfide più difficili per i territori, specialmente per l’area del Medio Calore e di quella “terra di mezzo” tra Sannio e Irpinia, ancora afflitte da cattive pratiche come i prelievi illegali di inerti. Valente (Unisannio): «Il prelievo è stato vietato perché impatta moltissimo sul fiume, ma continuano devastazioni e minacce»

Se da un lato, in maniera quasi sfrontata, c’è chi continua a provocare ciclicamente e puntualmente il depauperamento dei corsi fluviali insieme alla devastazione e all’alterazione della fauna e della flora, attraverso pratiche nefaste come il prelievo di inerti, dall’altro non si stacca nessuna voce politica chiara e determinata con l’intento di voler preservare i fiumi per farne un motivo di benessere collettivo, sostenibile, da cui, secondariamente, si potrebbe pensare di sviluppare un’economia verde.

Dai confini con l’Irpinia, in prossimità di Apice, arriva la segnalazione di un cittadino, con foto del 13 giugno scorso, coordinate geografiche e dichiarazioni, in cui si segnala, in attesa di conferme o smentite dalle autorità, il prelievo presumibimente illegale di inerti dal bacino del fiume Miscano e la «devastazione di quell’area in un clima di assoluta omertà», dove, tra l’altro, osservando le immagini, non è presente alcun tipo di cartellonistica.

«Questo – spiega il cittadino – è quello che stanno facendo nel fiume Miscano a Tignano. Sono stato lì qualche giorno fa e ho scoperto che stanno scavando per accaparrarsi il misto. Hanno addirittura scavato e fatto un laghetto da cui attingere l’acqua per irrigare il tabacco. Praticamente sono in corso prelievi abusivi di inerti dall’alveo del fiume Miscano, in località Tignano Basso. Oltre allo scavo con asportazione del materiale inerte, è stata realizzata una profonda fossa all’interno del letto del fiume, utilizzata a sua volta per la captazione abusiva dell’acqua ad uso irriguo. In sostanza continua imperterrita questa barbarie. L’area si presenta profondamente sconvolta dagli interventi, poiché, anche a causa della scarsa portata, la fauna e la flora fluviali risultano irrimediabilmente devastate. Dalle coordinate e delle foto aeree prese da Google (41.150423,14.958046: le riportiamo affinché le autorità possano verificare questa segnalazione, ndr) si può vedere come non esisteva la fossa e neanche quel disastro nell’alveo. Fino a marzo era tutto regolare, appena è diminuita la portata c’è stato questo “blitz” e lo scempio è in corso».

A seguito della segnalazione di prelievi illegali di inerti, bMagazine ha raggiunto telefonicamente il professore dell’Università degli Studi del Sannio Alessio Valente, esperto di geologia e valutazione ambientale impegnato in diversi tavoli per i Contratti di Fiume, per un parere sulle foto e sui luoghi di cui si è occupato anche durante la conferenza “Il Borgo e Il Fiume” ad Apice nel settembre del 2020. Valente stigmatizza subito un diffuso clima di prevaricazione e illegalità: «Presso le cave del Calore, tra Paduli e Apice, mi fu intimato di allontanarmi, mentre ero insieme ad un collega e un fotografo. La stessa sorte toccò ad un altro mio collega con il tesista sull’Ufita». 

Ritornando invece alla questione del fiume Miscano e alla segnalazione giunta pochi giorni fa, il docente dell’Università sannita si è espresso così: «Ho letto la mail e visto le foto. Faccio quasi fatica a riconoscere i luoghi, che sono chiaramente e recentemente devastati, è da sottolineare che il prelievo di inerti è stato vietato perché impatta moltissimo sul fiume. Mi sembra abbastanza evidente.  Si nota che l’escavazione è piuttosto recente. In un corso d’acqua, come quello del Miscano, vedere un sovralluvionamento di quella maniera evidenzia che è stato scavato l’alveo per portare a giorno tutto ciò che si poteva. Penso che il lavoro non sia finito e che presto torneranno a operare. Non è una situazione ordinaria per quel corso d’acqua, è chiara l’interferenza di un’attività estrattiva che determina una profonda alterazione».

D. Quindi, se si trattasse di un’attività non autorizzata, staremmo chiaramente parlando di un’attività illegale.

Valente: «Certo, illegale, devastazione ambientale, per la precisione. Per i corsi d’acqua in questo momento c’è uno stop, di fatto queste attività vanno regolamentate e possono essere autorizzate in determinate condizioni, legate a un fabbisogno importante o a situazioni di sicurezza. Poi – continua il professore Alessio Valente – esiste un problema di utilizzazione di questi inerti. Gli inerti devono essere valutati in termini di contaminazione. Ci devono essere delle autorizzazioni specifiche. Purtroppo, mi dispiace dirlo, ma pare che non ci sia un controllo adeguato».

Quali effetti provocano queste attività estrattive, professore?

V: «Gli effetti vanno a modificare il corso d’acqua impattando profondamente sulla dinamica e sul trasporto; il materiale tenderà a fermarsi e non a proseguire nel suo percorso, creando così degli sbarramenti. Credo che lì il deflusso minimo vitale, inoltre, sia sotto zero, molto basso. Tutto ciò, inoltre, crea problemi all’erosione, quando infatti vado a creare un sovralluvionamento, la corrente tenderà a scavare di più, questo si vede dalle foto, quindi si delinea un fenomeno di scalzamento e se ci fosse un’opera, lateralmente, la stessa potrebbe essere benissimo messa in difficoltà. Di fatto non è positivo. L’altro aspetto importante è che l’attività stessa provoca una perdita del corridoio ecologico, in termini di fauna e flora, perdendo così un habitat potenziale e dei tratti che potevano essere salvaguardati. C’è la perdita di un valore naturalistico. Potrebbero anche esserci, infine,  problemi di interferenza con la falda, la stessa potrebbe essere bloccata da una rimozione, creerebbe una difficoltà nella circolazione delle acque sotterranee, potrebbe incidere sull’irrigazione».

Sui Contratti di Fiume, strumenti di tutela dei corsi fluviali, come siamo messi?

V: «La Regione Campania ha individuato cinque fiumi oggetto di una procedura di questo tipo: la parte bassa del Calore dal Comune di Ponte fino al Volturno, capofila di questo corso d’acqua è il Parco Regionale del Taburno Camposauro, poi, c’è il contratto di lago, quello del Tammaro, con il bacino di Campolattaro insieme ad un tratto del fiume Tammaro (per quest’ultimo, ancora oggi, non ho visto però una documentazione, per l’altro invece c’è ed è stata coinvolta l’Università, quello di Campolattaro non credo che abbia sviluppato molte informazioni). Abbiamo poi il contratto del Volturno, nel tratto mediano, nella provincia di Caserta. C’è per il fiume Sele, nel tratto ultimo, nella parte inferiore del fiume e hanno chiesto di ampliarlo nella parte mediana, qui il contratto fa capo all’ente Riserva Foce Fiume Sele. Per ultimo c’è il contratto dell’Ofanto che già aveva iniziato un percorso nazionale con dei risultati importanti. Non so in che modo sia avanzato rispetto agli altri… Mi dispiace perché era una opportunità in quanto si poteva andare a recuperare anche la zona della Puglia ed era un progetto interregionale».

Ormai si è prossimi alla scadenza di questo documento strategico, spiega il professore Valente, e nell’area del Medio Calore, ad esempio, dove sembrava essere nata una certa volontà, non abbiamo adesioni e l’unione dei Comuni; si sarebbe infatti dovuta concretizzare in un’assemblea dei Comuni, ma tutto ciò pare che non sia avvenuto. Si tenga conto, inoltre, che l’attuale sindaco del Comune di Apice, Angelo Pepe, è stato un importante dirigente alle risorse idriche della Regione Campania, chi più di lui potrebbe o avrebbe potuto spingere gli altri Comuni verso questa direzione?

Professore Valente, una domanda conclusiva: c’è cultura ambientale da noi?

V: «C’è una doppia velocità. I giovani, pur avendo una certa sensibilità per l’ambiente più ampia, hanno difficoltà a farla calare nelle situazioni locali, ecco perché c’è bisogno di coltivarla con le associazioni, la scuola. Per quanto riguarda l’aspetto degli adulti e delle amministrazioni, questa cultura non c’è poiché l’ambiente non viene visto come una occasione di sviluppo. Nel piano nazionale Pnrr sono previste nuove figure che dovranno intraprendere azioni di sviluppo che noi in Italia non abbiamo assolutamente; non abbiamo personale efficiente sempre capace di osservare l’ambiente. Pochissimi sono i laureati. È molto difficile, salvo per chi lavora nelle associazioni ambientaliste e, concludo, non c’è un’attività amministrativa tale che possa aiutare e prendersi cura dell’ambiente».

E visto che mancherebbe cultura ambientale, soprattutto negli adulti, si segnala, agli interessati e ai tanti amministratori del circondario, un buon autore come Daniel Goleman e il suo libro sull’intelligenza emotiva: “Come educare all’ecologia”. Si apprenderà come le attività umane si stiano spingendo oltre i limiti del sistema naturale che sostiene i cicli d’acqua fresca e l’uso del terreno. E, se, infine, l’Alta Capacità si saluta come la grande opportunità del territorio, probabilmente, è necessaria una seria riflessione su quelle che sono le potenzialità prioritarie di quel territorio.

Michele Intorcia