Capita ancora di leggere, in alcuni testi scolastici, cose riduttive come «gli antichi avevano strumenti di indagine molto limitati per spiegare il mondo, e per questo inventavano storie». Un’idea del genere non solo banalizza la sapienza antica ma svilisce gli antichi stessi, dipingendoli come bambini smarriti di fronte alla realtà: una visione fuorviante e diseducativa, segnata da un ingenuo ma tossico etnocentrismo e dall’applicazione impropria di pregiudizi evoluzionistici alla cultura e alla storia delle civiltà. Per questo nasce questa breve sintesi, pensata per gli alunni delle scuole medie: un invito, benché semplice, a coltivare attraverso il mito una forma di conoscenza poetica e uno sguardo “altro” per restituire respiro a un’esistenza sempre più appiattita su un’idea di benessere materiale che rasenta la zootecnia
1. Che cos’è il mito?
Il mito è un modo di spiegare il mondo attraverso racconti (definiti appunto mitici), caratteristico delle civiltà antiche. Questi racconti sono una forma di rappresentazione simbolica per spiegare il mondo, la natura, l’esistenza stessa umana. Ad esempio, i miti cosmogonici spiegano l’origine del mondo, quelli teogonici l’origine delle divinità (intese come forze, leggi ed energie che “regolano” la vita in cielo e in terra) e miti antropogonici che raccontano o spiegano l’origine dell’uomo. Di fronte agli interrogativi profondi della vita (Chi siamo?, Perché esistiamo? Da dove veniamo?) le risposte del mito appaiono ancora oggi ricche di suggestioni: in un mondo dominato dalla scienza e dalla tecnica, il mito continua a regalarci uno sguardo diverso sulla realtà. Il cosiddetto “pensiero mitico” non è in concorrenza, in competizione con il pensiero scientifico ma rappresenta un diverso modo di rapportarsi alla vita e interpretarla. I miti hanno più livelli di lettura: quelle che possono apparire solo come storielle popolari, rivelano conoscenze molto più particolari a uno sguardo esperto.
2. Che cosa significa la parola mito?
La parola greca “mythos” può significare approssimativamente “parola” o “racconto”. Il cammino del sole nella volta celeste, i movimenti delle stelle, il ritmo delle stagioni e della vita sono infatti raccontati attraverso le gesta di dei ed eroi (come Apollo che trasporta il sole sul suo carro). L’idea alla base di queste personificazioni è che nell’acqua, nel fuoco e nei fenomeni dell’universo ci siano «forze che sanno di essere», con una loro “intelligenza”.
3. Che tipo di simbolismo c’è dietro il mito?
L’interpretazione simbolica dei miti è molto complessa e ammette diversi tipi di spiegazioni valide. Esiste sicuramente un tipo di simbolismo astronomico che consente di associare ogni divinità a una stella o a un pianeta. Alcuni miti antichi raccontano la precessione degli equinozi (cioè lo spostamento lento delle stelle e delle costellazioni nel cielo nel corso dei millenni) e le relative conseguenze per l’umanità, raccontante come cambiamenti di divinità e di Ere cosmiche. L’astronomia ancora oggi impregnata di mitologia, a partire dai nomi di stelle, pianeti e costellazioni. Oltre ad essa si servono del mito spesso la filosofia e la psicologia, alla ricerca di tendenze profonde e universali dell’animo umano (v. ad esempio il “Complesso di Edipo”). Anche gli storici hanno molto da imparare dal mito (e dalla sua lunghissima “memoria” orale), soprattutto in riferimento a ere umane di cui non esistono altre tracce scritte o addirittura archeologiche (si pensi ad esempio all’uccisione del pastore Abele da parte del contadino Caino, che sembra raccontare la progressiva affermazione dei popoli sedentari su quelli nomadi).
4. I miti possono essere interpretati in modo “letterale”?
Le “verità” del mito potrebbero essere molte più di quelle accennate, e a volte sembrano anche piuttosto “concrete”: si pensi al fegato di Prometeo, che ricresce e può essere mangiato dall’aquila di Zeus per l’eternità (nozione di anatomia) o al racconto biblico secondo cui Dio divise la terra dalle acque (c’è forse la consapevolezza geologica di Pangea e Pantalassa?). Anche il mito “universale” del Diluvio Universale sta trovando evidenze geologiche con gli eventi che, nel giro di circa duemila anni, hanno segnato in tutto il mondo (in modo più graduale o più catastrofico) la fine dell’ultima era glaciale, intorno al 10.000 avanti Cristo. L’ipotesi del “diluvio del Mar Nero”, ad esempio, propone che, in questo periodo, l’innalzamento del livello del mare e/o lo “sfondamento” dello stretto del Bósforo abbia causato una rapida inondazione del bacino dell’attuale Mar Nero (che era forse un lago). Detto questo, va ribadito che il linguaggio del mito (benché permetta diversi livelli di lettura in quanto polisemantico) è prevalentemente simbolico, e richiede una particolare formazione e una particolare “forma mentis” per essere intepretato in modo corretto e “profondo”.
5. Qual è la differenza tra mito ed epica?
Nel mito lo sguardo è puntato verso il cielo, attraverso un prevalente simbolismo astronomico e cosmologico. Il cielo per gli antichi è uno spazio narrativo, popolato di storie ed energie che influiscono e talvolta “impattano” sulla vita umana. Nell’epica lo sguardo invece è verso la terra: si tratta di gesta umane sospese tra storia e leggenda, che contengono l’identità e i valori di una civilità come una sorta di “enciclopedia”. Le parole mito ed epica significano entrambe (letteralmente) “raccontare”, ma la dimensione del mito è più lontana, cosmica e divina, al di là della storia (a-storica o meta-storica), mentre la dimensione dell’epica è più umana, quasi storica (anche se nelle vicende raccontate intervengo spesso gli dèi).
6. Che cos’è un poema epico? Cosa sono i poemi omerici?
I poemi epici sono dei veri serbatoi di storie (le “gesta” eroiche), di modelli e valori di un popolo. Un poema è un’opera letteraria narrativa in versi, una sorta di romanzo in versi, o una lunghissima poesia che racconta una storia. I poemi omerici sono opere fondamentali della cultura e dell’identità degli antichi greci, una sorta di “Bibbia greca”. Contengono infatti i valori fondanti di questa civiltà, oltre a tutta una serie di elementi storici e religiosi (elementi storici in parte confermati dalle mirabolanti scoperte dell’appassionato Heinrich Schliemann in Turchia del 1871, che portarono alla luce la possibile cittadella fortificata di Troia, e poi in Grecia, a Micene). Per questo tali poemi sono stati definiti come un’”Enciclopedia”. Si tratta di narrazioni collettive, sviluppate e arricchite nel tempo dalle voci dei cantastorie, ma la tradizione attribuisce il ruolo di autore a un poeta di nome Omero, di cui molte città della Grecia antica rivendicano i natali ma sulla cui esistenza non ci sono notizie certe. Il nome potrebbe significare il ”non vedente”, in ossequio alla tradizione che vede nel poeta una sorta di veggente e profeta (come l’indovino Tiresia dell’Odissea). Gli occhi del poeta, come quelli del profeta, si chiudono sul mondo affinché la sua vista, diventata in-spirata e interiore, si apra su altri mondi.
7. Quali sono ad esempio i valori contenuti in questa “enciclopedia” e come venivano tramandati?
L’onore, il coraggio, la forza fisica, la possibilità di sacrificare la vita terrena per vivere per sempre da eroi nella memoria, una volta caduti valorosamente in battaglia. Come oggi impariamo i valori e soprattutto i disvalori della civiltà contemporanea attraverso il cinema, la TV e i video dei social, anticamente le persone imparavano sentimenti e modelli di comportamento dalle storie “cantate” dagli aedi (con una particolare recitazione ritmica, muscale), intorno al fuoco dei palazzi micenei. Queste storie sono state raccontate oralmente per secoli finché, nel VI secolo a.C. sotto il tiranno Pisistrato, si sono avute le prime trasposizioni scritte. La scrittura di questi poemi mummifica quella che era una tradizione viva, soggetta a variazioni e cambiamenti ad ogni interpretazione degli aedi. Per ricordare una tale quantità di versi e informazioni gli aedi ricorrevano a formule fisse ricorrenti che aiutavano la memoria.
8. Di cosa parlano i poemi omerici?
Le storie dei poemi omerici ruotano attorno alla Guerra di Troia tra i popoli achei che abitavano la Grecia e i troiani che vivevano sulla costa anatolica. Un conflitto forse reale raccontato in modo leggendario. Di questa guerra l’Iliade racconta solo un pezzetto, senza l’inizio e senza la fine. I funerali del guerriero troiano Ettore, travolto dalla rabbia di Achille, non rappresentano la fine della Guerra di Troia ma ne anticipano l’esito, stroncando la più grande speranza troiana. Il vero protagonista della storia è un sentimento, la rabbia di Achille, che funziona come motore narrativo di eventi che dinamizzano il corso ormai ristagnante di una guerra decennale. Lo sblocco definitivo delle vicende belliche arriverà non con la forza ma con l’astuzia di Ulisse e lo stratagemma del cavallo di Troia. Ma di questo si parla nell’Odissea, poema che racconta il ritorno dell’eroe Ulisse in patria, nella sua Itaca, e che fa parte dei racconti dei cosiddetti “nòstoi”, ovvero i difficili ritorni degli eroi in patria. La parola “nostalgia” significa appunto “dolore del ritorno”.
Sintesi a cura di Alessandro Paolo Lombardo


