A quasi due anni dall’inizio della pandemia stiamo intravedendo la luce in fondo al tunnel: speriamo non sia la nuova tratta ad alta velocità Irpinia-Foggia. Ma cosa ci ha lasciato la pandemia? Cosa abbiamo imparato da questa immane tragedia che ha prodotto danni fisici e psicosociali ben superiori al suo decorso sanitario?
Abbiamo sicuramente imparato che è importante lavarsi le mani. Lavarsi bene anche tra gli interstizi digitali. Abbiamo imparato a limonare in forma asettica con le mascherine chirurgiche. Addio herpes, ci mancherai. Abbiamo imparato che le mascherine usate sono una buona pacciamatura se abbandonate al bordo strada. Ma dato che non sono biodegradabili resteranno ai posteri come monito all’imbecillità umana. Abbiamo imparato che i guanti monouso sanno nuotare. Confonderemo la poetica lattiginosità delle meduse con più prosaici e inquinati guanti in lattice. Non dovrebbero essere urticanti, ma aspettiamo conferme dalla letteratura scientifica.
Abbiamo imparato che i drappi bianchi appesi ai balconi con il monito “Andrà tutto bene!” incarnavano la speranza di un ritorno a una normalità che comunque non era proprio il top (anche se, pandemia docet, si può cadere sempre molto più in basso). Ora che sono scoloriti e sgualciti dal tempo ritornano quei “malesseri speciali” di cui parlava il maestro Battiato, spiegando che «ci vuole un’altra vita». Abbiamo visto, e toccato nella nostra reclusione hi-tech, come la globalizzazione e la ricerca di una sfrenata crescita economica ci abbia allontanati dalle nostre radici e da ciò che – in un certo qual modo – ci rende e ci qualifica umani.
Abbiamo imparato… a non prenderci in giro? E allora, a essere onesti, non abbiamo imparato nulla. Nulla sui diritti negati e sui tagli alla sanità (o siamo diventati tutti di estrema sinistra, a fine lockdown?), nulla sul potere che sguazza negli shock collettivi per ridefinire i dispositivi di controllo, nulla sulla Terra che riprende fiato rallentando i ritmi dello sfruttamento quotidiano. Avremmo dovuto imparare a essere intransigenti con la politica, a far sentire la nostra voce non solo dai balconi ma anche nelle stanze del potere. Avremmo dovuto imparare che quando l’essere umano fa un passo indietro la natura riprende vita. Che quando le fabbriche smettono di defecare i fiumi riprendono il loro colore e gli abitanti dei mari si riaffacciamo sul mondo. Ma niente più news sui delfini nei porti e i conigli nei parchi pubblici. Sarà per la prossima pandemia.
Vittorio Palmieri